Latte di palma. Da consumarsi a partire da 0 mesi di vita

 

Premessa: questo post non è assolutamente una critica verso le mamme che non allattano, né vuol farle sentire in colpa, né tanto meno vuol disquisire sulle ragioni che portano al non allattare al seno. Bensì vuol essere uno stimolo di riflessione e mezzo d’informazione, per fare scelte consapevoli.

Partiamo dall’inizio.

Cos’è l’olio di palma, dove lo troviamo e come viene prodotto:

L’olio di palma o dei semi di palma (olio di palmisto) sono olii vegetali ricavati da alcune varietà di palme da olio. Entrambi sono solidi o semi-solidi a temperatura ambiente, ma con un processo di frazionamento si possono separare in componente liquida e solida.

Questi olii hanno diversi utilizzi:

  • polveri detergenti, detersivi
  • prodotti per la cura del corpo, come ad esempio saponi (un prodotto derivato dall’olio di palma è il palmitato di isopropile), il marchio Palmolive ricorda qualcosa?
  • prodotti alimentari (dolci, creme, biscotti, pane, prodotti da forno in genere, gelati confezionati, ecc)
  • combustibile (biodisel) e lubrificante dei macchinari industriali
  • il napalm (utilizzato per costruire bombe, mine, combustibile per lanciafiamme) prende nome dagli acidi naftenico e palmitico.

Tutti gli olii vegetali sono composti da una parte di trigliceridi (esteri di glicerolo e acidi grassi, i trigliceridi li possiamo misurare anche nel sangue) e una porzione molto inferiore (attorno all’1-3%) chiamata frazione insaponificabile. Quest’ultima è una miscela di sostanze diverse, che nella composizione differisce a seconda del tipo di olio vegetale (oliva, girasole, ecc), ma essenzialmente è formata da fitosteroli, carotenoidi, fenoli, triterpeni, vitamina E, lignani (tutte sostanze benefiche per il nostro corpo).

Per dare un’idea l’olio d’oliva è particolarmente ricco di sostanze insaponificabili, che però sono preservate quando il processo di produzione non le altera, per cui le troviamo solo nell’olio extravergine spremuto a freddo. Quindi anche l’olio di palma contiene vitamine e antiossidanti, che però vengono sacrificati nel processo di produzione, per ottenere dall’olio di palma “grezzo” la sua versione raffinata. I frutti della palma sono facilmente deperibili, per cui dopo il raccolto vengono sterilizzati tramite il vapore, in seguito vengono snocciolati, cotti, pressati e filtrati. L’olio “extravergine” che se ne ricava è di colore rossastro per via dell’alto contenuto di beta-carotene.

L’olio di palma raffinato è tanto diverso a livello nutrizionale dall’olio extravergine di palma quanto l’olio d’oliva lo è dall’olio extravergine d’oliva, se non di più. Visto che è prodotto solo attraverso la spremitura di un frutto fresco dalla polpa molle, l’olio extravergine di palma può degradarsi e irrancidire molto facilmente (a differenza di un olio ottenuto da semi). Per renderlo “a lunga conservazione”, molto più utilizzabile e versatile viene sottoposto a diversi passaggi di raffinazione che prevedono l’eliminazione della parte gommosa (che causerebbe la produzione di schiuma durante la frittura, ad esempio), lo sbiancamento per abbattere la colorazione (non gradita dai consumatori occidentali per le alterazioni al colore del prodotto finito) ed atri passaggi con vapore, incluso uno step di deodorizzazione che elimina le sostanze maleodoranti sopracitate. Questi passaggi possono essere di tipo fisico o chimico.

Il risultato finale è un olio di colore giallo dorato, non diverso nell’aspetto da un olio di girasole o di semi, che ha perso sia alcune sostante potenzialmente tossiche (quelle che farebbero irrancidire facilmente l’olio) sia molte sostanze salutari (caroteni, fitosteroli, antiossidanti, vitamine, ecc), mentre rimangono i grassi saturi. L’olio di palma così raffinato è molto “comodo” dal punto di vista tecnologico e della lavorazione industriale: può essere facilmente frazionato ottenendo un prodotto solido e ricco di acidi grassi saturi (prevalentemente palmitico) ed una frazione liquida (oleina di palma) formata soprattutto da acido oleico.

La componente solida è andata a sostituire perfettamente le margarine quando si è scoperto che i grassi trans contenuti in questi “burri” vegetali sono altamente nocivi per il nostro sistema cardiocircolatorio. La componente liquida invece viene utilizzata nelle fritture e in altre preparazioni. Componente solida (ricca di acido palmitico) e componente liquida (ricca di acido oleico), quasi prive di parte insaponificabile, hanno un pregio importantissimo per l’industria: costano pochissimo (ogni altro commento a riguardo mi pare superfluo). Oltre a questo sono a lunga conservazione, la parte liquida resiste alle alte temperature delle fritture, la parte solida è l’ideale per tutti i dolci e prodotti da forno e per rendere ben spalmabili tutte le creme (vogliamo nominare la crema all’olio di palma per eccellenza? La Nutella, che ha solo il 13% di nocciole). Quale azienda non le troverebbe convenienti?

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Conseguenze per la salute:

Sono state fatte molte ricerche scientifiche per valutare l’impatto di quest’olio sulla salute, ma se andandole a leggere troviamo “olio di palma” ne sappiamo come prima, perché questa dicitura vuol dire tutto e nulla (olio raffinato? Olio grezzo/integrale? Olio deodorizzato?) mentre potremmo trarne delle reali informazioni se leggessimo: olio non raffinato, olio raffinato, olio raffinato e frazionato.

Quello che si è dedotto per il momento è che una proteina contenuta in questo olio è in grado di distruggere le cellule beta del pancreas, con conseguente insufficiente produzione di insulina e quindi sviluppo di diabete mellito (Università di Bari, Padova e Pisa, in collaborazione con la Società Italiana di Diabetologia). Oltre a questo ci sono i danni cardiovascolari legati ai grassi saturi. Da dicembre 2014, per le nuove norme europee sull’etichettatura legate all’entrata in vigore del Regolamento UE 1169/2011, è obbligatorio indicare le origini vegetali specifiche per tutti gli alimenti che contengono oli o grassi di origine vegetale. Questo tuttavia non obbliga a indicare il loro grado di raffinazione o frazionamento, leggiamo infatti sulle etichette “olio di palma” senza nessuna ulteriore informazione. L’unica operazione da dichiarare è l’eventuale idrogenazione (l’idrogenazione è un processo di “indurimento” dell’olio vegetale in forma liquida mediante dei catalizzatori, tra cui il Nichel, che rende il prodotto finito ricco di grassi trans).

 

Conseguenze per l’ambiente:

La produzione dell’olio di palma però ha un forte impatto anche dal punto di vista ambientale, gli effetti negativi sono innegabili. La coltivazione delle palme da olio avviene principalmente nel Sud-Est asiatico, dove vengono convertite alla coltivazione di palme aree ecologicamente importanti come zone di foresta pluviale o aree precedentemente adibite alla produzione alimentare. Inoltre, la coltivazione di palme da olio può produrre considerevoli emissioni di carbonio: in Indonesia e Papua Nuova Guinea, per esempio, il terreno per la coltivazione è stato preparato spesso drenando e dando alle fiamme aree di foresta palustre, con un conseguente rilevante danno ambientale, ed è stato valutato che anche in seguito a questi fenomeni l’Indonesia sia diventata il terzo emettitore mondiale di gas serra, inoltre la deforestazione minaccia d’estinzione gli orango, diffusi solo in quelle aree. Secondo il Rapporto quinquennale FAO sulle foreste del 2007, la sola Indonesia perde un milione di ettari all’anno di foreste pluviali. La United States Environmental Protection Agency (EPA) ha escluso il biodiesel da olio di palma dai combustibili ecologici, proprio perché l’impronta di carbonio derivante dalla sua produzione non permette la riduzione del 20% richiesta per le emissioni dei biocarburanti: l’olio di palma ha costi ambientali elevatissimi alla produzione. Anche in Africa la palma da olio inizia ad espandersi nelle regioni forestali, minacciando importanti ecosistemi; questo è il caso per esempio della Costa d’Avorio, dell’Uganda e del Camerun.

Per darvi un’idea di quale sia in pratica l’effetto della coltivazione di palme da olio vi riporto l’esperienza di questo signore F. S.:

“Sono stato in Malesia per un anno e mezzo e, per diversi mesi a singhiozzo, abbiamo vissuto con la spada di Damocle della cosiddetta Haze, una nebbia biancastra che puzza di sigaro e rende l’aria a dir poco irrespirabile: senti i polmoni pesanti e gli occhi bruciano h24. Cos’è’ questa Haze? In Indonesia periodicamente bruciavano foreste per far spazio alle palme da olio e una densa nube biancastra si alzava funesta e spinta dal vento si piazzava tra Singapore e Kuala Lumpur. Purtroppo da lì proprio non se ne voleva andare perché tutta l’area è in una conca non ventilata. Ricordo che per almeno 20 giorni la visibilità non ha superato i 20m. Tipo nebbia in Val Padana ma tossica. Non parliamo poi degli effetti sulle vite di milioni di persone, scuole chiuse per decine di giorni, code nelle cliniche, traffico paralizzato… o delle piogge acide a gogò, un altro danno collaterale che investiva e investe tutto e tutti. Andare a lavoro era un’impresa, vestiti affumicati e maschera d’ordinanza con un paio di calzini bagnati dentro come filtro (puliti però!). Giorni e giorni senza poter aprire porte e finestre, pena intossicazione rapida. Quello che posso dire è che il disastro ambientale da quelle parti non conosce sosta da decenni. E’ semplicemente un’enorme fornace a cielo aperto, ma tanto è lontana…”.

La Malesia è senz’altro lontana, ma le conseguenze di tutto ciò si fermeranno lì? Non dimentichiamoci che non ci sono confini “fisici” nell’aria e nell’acqua da uno Stato all’altro.

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Parente dell’olio di palma: olio di colza.

Leggendo le etichette troviamo spesso tra gli ingredienti “olio di colza”, “olio di semi di colza a basso contenuto di acido erucico (= olio di canola)”. Probabilmente molti si ricordano dell’olio di colza come biodiesel oppure come componente dei mangimi per l’allevamento. Tuttavia quest’olio vegetale, dai bassi costi di produzione, veniva impiegato anche per uso alimentare, con le stesse modalità dell’olio di palma (sempre per il costo bassissimo). Si è poi scoperto che l’acido erucico contenuto nella colza è un grasso molto tossico a livello cardiocircolatorio, per cui gli esperti lavorarono per ottenere una varietà di colza a basso contenuto di acido erucico.

Da questa nuova varietà di colza, chiamata Canadian Brassica, nacque l’olio ribattezzato come canola oil, e talvolta italianizzato come olio di canola. L’olio di colza, in ogni caso, non è un olio spremuto a freddo, come dovrebbe esserlo ad esempio l’olio extravergine d’oliva di alta qualità. Viene ottenuto mediante laboriosi processi di raffinazione che prevedono l’impiego di calore e solventi. L’olio di colza viene anche decolorato e deodorizzato, mentre il suo alter ego olio di canola è un OGM al 100%. Si nutrono ancora dei dubbi su questi oli, sia per il loro impatto sulla salute sia per l’impatto ambientale (vedi olio di palma).

Penso che sarebbe interessante poter chiedere ai capi dell’OMS come mai non hanno suggerito di lasciar fuori l’olio di palma dall’EXPO, visto che i principali sponsor sono le multinazionali del cibo spazzatura… Lo slogan non dice “nutrire il pianeta, energia per la vita”?

Sarebbe anche interessante chiedere alla FAO, ai ministeri della salute delle varie nazioni, associazioni di pediatri, ecc. come mai non alzano nemmeno un sopracciglio di fronte all’uso dell’olio di palma nei latti in formula e negli altri alimenti per l’infanzia (vedi i famosi biscotti). Qualcuno sicuramente ribatte che è tutto allarmismo ingiustificato e che dipende tutto dalle quantità, ma visti i dubbi sulla salute (ad es. l’aumentato rischio di diabete) e gli indubbi sviluppi ambientali sarebbe logico se a scopo precauzionale cercassero di sostituire questo olio almeno nei prodotti destinati ai bimbi, perché un neonato nei sui primi mesi di vita si nutre solo ed esclusivamente di latte. Quindi se il neonato non è allattato al seno cosa rispondo? Di tenerlo a dieta perché nel latte in formula c’è l’olio di palma e deve mangiarne poco? E poi dovremmo definire anche quale sia il range oltre il quale l’assunzione è dannosa, ma le regole che valgono per tutti, si sa, non tengono conto delle variabili individuali.

Il cambiamento deve partire dal basso, dai consumatori, che devono esercitare il loro potere di scelta. Il Fatto Alimentare ha lanciato una petizione su Change.org per dire stop all’olio di palma per motivi etici, ambientali e salutari. Firmare è semplice e rapidissimo: https://www.change.org/p/stop-all-invasione-dell-olio-di-palma

Una mamma ha intrapreso – con il sostegno del Movimento di Difesa del Cittadino – una battaglia contro la Plasmon: una raccolta di firme per sensibilizzare l’azienda nei confronti dei problemi dell’utilizzo dell’olio di palma nei suoi prodotti. Ecco dove si può firmare: https://www.change.org/p/plasmon-pensa-ai-nostri-bambini-vogliamo-biscotti-senza-olio-di-palma?source_location=trending_petitions_home_page&algorithm=curated_trending

Inchiesta di Report sull’ Olio di Palma:

Video integrale: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-8af4de61-f2df-4bb1-95a3-4650e684d1ea.html#p=

Fonti:

https://it.wikipedia.org/wiki/Olio_di_palma

https://meristemi.wordpress.com/2011/03/31/due-o-tre-cose-sullolio-di-palma/

http://www.ing.unitn.it/~colombo/CATALISI/impiego%20di%20catalizzatori%20non%20ferrosi%20nella%20catalisi%20organica_file/page0010.html

http://www.ilfattoalimentare.it/olio-di-palma-industria-alimentare.html

http://www.huffingtonpost.it/2015/04/28/dieci-cose-da-sapere-sullolio-di-palma_n_7158812.html

http://www.fao.org/docrep/009/a0773e/a0773e00.html

http://www.wired.it/scienza/medicina/2015/05/08/tutta-verita-olio-di-palma/

http://www.greenme.it/mangiare/alimentazione-a-salute/14819-olio-di-colza-salutare-o-dannoso